Tra Libia, Sardegna e Milano: l'incredibile storia di Mirella Cherchi

Tra Libia, Sardegna e Milano: l'incredibile storia di Mirella Cherchi

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Redazione Babel

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17 aprile 2025

/ di Giorgia Danesi e Martina Fumagalli

Qualche giorno fa, chiacchierando con Mirella Cherchi, ci siamo imbattute nel racconto travagliato della sua vita tra Libia, Sardegna e Milano. La signora in questione, in realtà, è nostra nonna!

L'intervista s'ispira al modello dell'autobiografia linguistica, un racconto di sè attraverso la storia della propria lingua.

Mirella Cherchi nasce a Tripoli il giorno di Santo Stefano del 1940 da mamma Maria e papà Isidoro, primogenita di sei figli, quattro femmine e due maschi, l’unica tra loro ad essere nata in Libia, poiché i genitori si erano trasferiti per motivi lavorativi dal gennaio del ‘38 fino al ritorno in Italia nel ‘41, perché la nazione stava affrontando un periodo di difficoltà a causa dello scoppio della Campagna del Nordafrica nel ‘40, che arrivò nella capitale libica solamente un anno più tardi e ciò portò il nostro bisnonno a prendere la decisione di rincasare in Sardegna.

Il 17 giugno 1941 presero tutti il battello Tripoli-Agrigento, successivamente l’autobus con direzione Palermo e infine una nave salpata dal porto della città fino a Cagliari, dove si fermarono per solo una settimana poiché la meta non era ancora stata raggiunta. Arrivarono finalmente a Nuoro, più precisamente a Bortigali, paese dove si fermarono e dove condussero la loro vita fino al 1959, poiché da quell’anno in poi si trasferirono a Milano.

Un problema che sicuramente la famiglia ha riscontrato durante la permanenza in Libia, in Italia e durante il viaggio è quello della lingua: è importante ricordare che in quel periodo erano molto diffusi i dialetti, che differivano provincia per provincia. Di conseguenza, anche spostandosi di poco, ci si imbatteva in gerghi diversi. Tant’è vero che la nonna stessa ci ha raccontato che si parlava in italiano fondamentalmente solo a scuola o quando ci si trovava di fronte a persone adulte di un certo rango come per esempio, citando le sue parole, “il medico, gli insegnanti e i farmacisti”.

La lingua generalmente più parlata da lei e dalla sua famiglia era il dialetto sardo, tipico della zona in cui si erano stanziati, di cui oggi ha, purtroppo, perso conoscenza. Mirella ricorda solo qualche canzoncina che ci cantava principalmente quando eravamo piccole. Invece, per quanto riguarda Tripoli, il problema era ancor più emblematico in quanto la lingua parlata in quel paese è l’arabo, che differisce dall’italiano anche nell’alfabeto. La nonna ricorda di aver sentito raramente parlare i suoi genitori in quella lingua, solamente quando comunicavano con qualche amico venuto in Italia con loro; Isidoro e Maria infatti conoscevano solo qualche espressione della lingua locale, anche a causa del fatto che hanno vissuto lì solo per circa tre anni.

Di conseguenza la nonna è cresciuta parlando dialetto all’interno del suo nucleo familiare, infatti è maturata dialogando per la maggior parte del tempo il sardo, proprio per questo lo considera la sua “lingua madre”; il bisnonno, però, teneva al fatto che i suoi figli parlassero anche l’italiano in casa. Grazie a questo Mirella non ha riscontrato grandi difficoltà quando si è trasferita a Milano e quando all’età di 19 anni ha definitivamente iniziato ad abbandonare il dialetto a causa del lavoro, nel quale era costretta a parlare solo la lingua italiana. Ad oggi dice che il “sardo” le è risultato utile unicamente all’interno di conversazioni tra familiari, amici e compagni di classe quando abitava in Sardegna.

La nonna Mirella ha appreso l’italiano unicamente grazie alla scuola, nonostante abbia frequentato solo i 5 anni di elementari, dove non si insegnavano né latino né altre lingue straniere. Quindi, a scuola, si privilegiava l’apprendimento della lingua locale, insegnato da un’unica maestra che la nonna ricorda come “molto severa e che metteva in punizione spesso i miei compagni di classe più vivaci”: venivano castigati principalmente perché non avevano il materiale o perché non avevano eseguito i compiti assegnati. Inoltre, la scuola favoriva l’uso del dialetto tra le conversazioni degli studenti, ma non nei confronti dell’insegnante, con cui si doveva parlare unicamente in italiano e, se capitava che scappasse qualche parola in sardo, sicuramente non subivano alcuna punizione.

Oltre a scuola e con suoi familiari, la nonna parlava il sardo con gli amici, soprattutto quando uscivano il pomeriggio per giocare e divertirsi con diversi passatempi, come per esempio nascondino, bandierina e così via. Giochi che si sono tramandati di generazione in generazione e a cui i bambini amano giocare ancora oggi.

Un’altra attività che nostra nonna e le sue sorelle amavano fare era ascoltare musica e programmi in sardo attraverso la radio: i canali preferiti erano quelli che trasmettevano Mina e tutte le vecchie edizioni di Sanremo. Questi programmi radiofonici si possono ancora trovare su internet; infatti, ci ha raccontato che sua sorella Clara qualche volta li ascolta ancora, poiché lei è dotata di uno smartphone, mentre la nonna è rimasta con il tipo di telefono con cui si può solo chiamare.

Dopo averci raccontato ampiamente della sua infanzia, abbiamo iniziato a domandarle se parlasse ancora il dialetto, se le piacerebbe riprendere a parlarlo e se avesse voluto imparare meglio qualche altra lingua. Lei ha risposto a tutte queste domande che le abbiamo posto: alla prima ha replicato che purtroppo ha perso quasi tutto ciò che sapeva del sardo, se non qualche canzoncina e qualche parola, perché suo marito, nonno Giuseppe, non voleva sentire parlare dialetto sardo, in quanto lui era milanese e del sardo non sapeva quasi nulla e ai figli voleva trasmettere solamente l’italiano e il milanese. Infatti, quando la nonna ci cantava da piccole queste melodie, i nostri genitori le chiedevano: “perché a noi non le cantavi mai?” e ha sempre risposto: “semplicemente perché il papà non voleva che ve le cantassi”. Alla seconda richiesta, invece, ha risposto che le piacerebbe molto riprendere a parlare il sardo poiché fa parte delle sue origini e del suo passato, pensa che se riprendesse a parlare questo suo dialetto le verrebbero alla mente ricordi della sua infanzia.

Infine, rispetto alla nostra ultima domanda, ci ha risposto che le sarebbe piaciuto moltissimo imparare l’inglese, perché ormai è una delle lingue più parlate nel mondo, e anche qualcosa di francese, poiché la Francia l’ha sempre affascinata particolarmente.

Le ultime nostre richieste riguardavano principalmente riflessioni personali, in particolare quali Mirella pensa che siano i momenti decisivi nella sua vita in cui la lingua è stata particolarmente importante, se ha mai trovato difficoltà nel parlare o nell’usare un linguaggio diverso dal dialetto e, per ultimo, se ricordasse delle conversazioni in famiglia.

Alla prima ha risposto che il sardo è stato importante soprattutto durante l’infanzia, per dialogare con i nonni e con altri parenti sardi, come gli zii e i cugini, mentre l’italiano sicuramente quando è arrivata a Milano e ha iniziato a lavorare.

La seconda richiesta l’ha affrontata dicendo che né con l’italiano, né con il sardo ha mai avuto problemi, però ne ha avuti con il dialetto milanese, soprattutto all’inizio, poiché faticava a comprenderlo semplicemente perché nuovo all’udito, ma con il tempo si è abituata e ha iniziato a capirlo senza però mai praticarlo, in quanto per lei avrebbe significato “tradire” la sua amata Sardegna.

Al terzo ed ultimo quesito ha risposto raccontandoci che il maggior numero di ricordi delle conversazioni famigliari era ovviamente quando si stava a tavola, poiché al tempo non c’era la distrazione del televisore, oppure mentre si aspettava che papà Isidoro facesse ritorno a casa dopo una lunga e sfiancante giornata di lavoro.

Come ultima cosa volevamo dire che intervistare nostra nonna, Mirella Cherchi, ci ha fatto scoprire una parte di lei che non conoscevamo, una parte di passato a noi sconosciuta che ci ha fatto molto piacere scoprire.


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