Spazio, diario aperto dalla prigione. Intervista con Adriana Lorenzi

Spazio, diario aperto dalla prigione. Intervista con Adriana Lorenzi

Mille mondi al lavoro
Sofia Allieri

Sofia Allieri

23 ottobre 2024

Il motto di Babel è “Bergamo Città dei Mille Mondi”, mondi che ci piace scovare, approfondire e scoprire, in cui vorremmo entrare in punta di piedi, per raccontare storie che magari non sempre incrociano la quotidianità degli indaffarati bergamaschi... Uno di questi mondi è il carcere, a cui va spesso il pensiero di Sofia, che qui ci propone un’intervista ad Adriana Lorenzi, autrice e formatrice, “letteraturologa” e con una lunga esperienza di laboratori di scrittura in carcere.

All'interno delle istituzioni carcerarie c’è l'area trattamentale, che si occupa di pianificare, coinvolgere e inserire ogni utente che vi accede in un percorso finalizzato al futuro reinserimento e a una riscoperta del sé. In questa cornice, all'interno della casa circondariale di Bergamo, trova spazio anche un laboratorio di scrittura, curato da Adriana Lorenzi, il cui scopo è usare la scrittura come strumento di ricostruzione dell'identità. Ho chiesto ad Adriana quando e come sia nato il laboratorio di scrittura in carcere, scoprendo che...

Il laboratorio di scrittura nasce nel 2002, nella sezione femminile del carcere di Bergamo, dove era stata rilevata la criticità di una scarsa partecipazione alle attività proposte. In questo reparto Adriana Lorenzi presenta una sua raccolta, contenente le storie di alcune donne ricoverate in un ospedale psichiatrico. La scrittura come racconto di vita, autobiografia e strumento per scavare nei ricordi tocca le corde dell’empatia e la proposta di uno spazio per raccontarsi raccoglie l'attenzione e la motivazione delle detenute. Da questo avvio nasce il primo libro di racconti memoriali dal carcere, intitolato "Voci da dentro. Storie di donne dal carcere" (Edizioni lavoro, 2004).

Il laboratorio di scrittura viene successivamente proposto anche nel reparto maschile, crescendo in termini di frequenza. Oggi è realtà quasi sempre presente, una volta a settimana da settembre ad agosto. La spinta e l’esigenza verso il “portare fuori” le storie dei partecipanti è sfociata nella creazione di una rivista, ovvero “Spazi, diari aperti dalla prigione”, che viene pubblicata in tre numeri annuali.

Mi sono chiesta come si svolga un incontro del laboratorio, come si possa creare il clima adatto per trasformare i pensieri in parole scritte, quali accortezze facilitino quest’esperienza di riflessione e autoriflessione personale e collettiva.

Ogni incontro inizia con una parte introduttiva, mi racconta Adriana, che si svolge in modo orale, con la presentazione del tema cardine, attraverso la lettura di un brano di letteratura, cui segue solitamente un dibattito. Grazie a questa modalità, i partecipanti al laboratorio diventano in primis lettori, oltre che scrittori. Arriva successivamente il momento della scrittura, che è vincolato dalle regole che “tutti scrivono” e “tutti leggono quello che hanno prodotto”.

Per affrontare i temi si possono elencare parole attinenti, episodi vissuti, o magari esempi della realtà carceraria. Un focus, quindi, può essere la propria storia personale, per poi tornare alla vita dentro il carcere. Capita di affrontare il tema della lettura ripercorrendo i primi libri letti e poi riflettendo su quali siano i momenti per la lettura in carcere. Si lavora prima sulla memoria e poi pian piano, in un movimento simile a quello del respiro, da dentro a fuori e viceversa, si torna al luogo in cui si è in quel momento.

Un’altra modalità di lavoro durante il laboratorio è quella di creare rubriche dedicate agli escamotage che si escogitano durante la vita carceraria per alcune necessità quotidiane, come l’uso della moka per stirare, o di una bottiglia e un coltello gelato per montare l’albume. Sono tutte parentesi che in maniera quasi giocosa portano, però, indirettamente a riflettere sul significato di avere delle restrizioni, e magari anche sul reato che le ha causate.

In che modo un laboratorio di scrittura può aiutare un percorso di reinserimento sociale? Dalla testimonianza di Adriana ho capito che un aspetto fondamentale è quello di dare un senso alla detenzione, perché quando questa finirà, come la si è vissuta può fare davvero la differenza o, al contrario, determinare il rischio di recidiva.

La scrittura e la lettura possono aiutare a un efficace percorso di reinserimento in più modi, dalla riscoperta personale, a quella degli altri, al riavvicinamento al mondo esterno.

Le persone che partecipano al laboratorio sono e si sentono redattori, lettori e critici, non solo detenuti. Per esempio, i redattori scelgono di dedicare il loro tempo al ruolo di giurati del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo, si cimentano in concorsi letterari e, a volte, riscoprono il mondo della letteratura e della biblioteca proprio tramite la partecipazione al laboratorio e l’immersione nelle storie narrate tra le pagine lette e scritte. La scrittura e la lettura, oltre a permettere di utilizzare il tempo in modo proficuo, facilitano il ricostruirsi un’identità diversa, che inizia da un’assunzione di responsabilità fino alla consapevolezza di un “Io” ricco, pieno, e non solo frutto dell’azione criminosa commessa.

Inoltre, lo spazio del laboratorio, in quanto condiviso con altri, aiuta nel ricreare la consapevolezza dell’importanza della collaborazione, fondamentale per una ricostruzione di un sano vivere nella collettività. Tutto questo avviene perché durante il tempo trascorso in redazione si ascoltano le storie e le esperienze degli altri fruitori, ed è lasciato ampio spazio al confronto e al suggerimento rispetto ai testi reciproci.

Infine, dato che il risultato è la produzione di un vero e proprio giornale, fuori dal carcere qualsiasi bergamasco può conoscere le storie e le riflessioni dei detenuti, magari abbattendo qualche pregiudizio e anche questo, in modo più indiretto, può aiutare la futura accoglienza di chi esce e il clima più o meno inclusivo che percepirà intorno a sé.

Per concludere la chiacchierata ho chiesto ad Adriana come il laboratorio si intrecciasse ad altre attività proposte in carcere, scoprendo così anche il laboratorio di teatro...

Il laboratorio, infatti, è in stretto contatto con le altre attività, sia per il rapporto di fiducia che si crea tra coloro che lavorano al percorso educativo che accompagna la detenzione, sia per la condivisione di spazi, che, infine, per la ricchezza che nasce dall’incontro tra le varie attività. Può esserci quindi un bel confronto tra i testi del laboratorio e quelli prodotti nella scuola in carcere, o è capitato che parte della redazione scrivesse parte dei copioni utilizzati durante il laboratorio di teatro.

Alcune fonti utili, per saperne di più:

I carcerati sperimentano il giornalismo - ItaliaOggi.it

Diario aperto dalla prigione: i testi dei detenuti - Araberara

"Scrivere in carcere" ne parliamo con Paola Suardi e Adriana Lorenzi (youtube.com)

Articoli recenti