Riders: viaggiatori che non si fermano mai, anche nella lotta per i diritti

Riders: viaggiatori che non si fermano mai, anche nella lotta per i diritti

Mille mondi al lavoro
Redazione Babel

Redazione Babel

02 giugno 2022

Riders : viaggiatori che non si fermano mai, anche nella lotta per i diritti

Sfrecciano tra le vie bergamasche,
sotto la pioggia, con il sole o tra le brezze del vento. Consegnano hamburger, pizza, sushi o penne colorate. Chi sono?

di / Ilenia Ravasio e Sofia Allieri

ll termine riders (dall’inglese ciclisti - motocicli- sti), entrato recentemente nel vocabolario co- mune, indica una nuova categoria di viandanti, guidati da una potente applicazione telefonica. Sono viaggiatori per procura, sostituti del consumatore nel viaggio tra il locale interessato e la propria abitazione.

Definiti instancabili viaggiatori, sono in realtà gli schiavi del nuovo millennio, working poors, con un lavoro “a cottimo” e una retribuzione inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale.

Inquadrati come lavoratori autonomi, svolgono la loro attività in condizioni subalterne, senza godere delle garanzie previste per i lavoratori subordinati, quali l’indennità di infortunio e la malattia. L’apice è stato raggiunto durante l’emergenza sanitaria del 2020. Francesco Chiesa (NIDL CGIL - Toolbox), riporta che le principali piattaforme di food delivery presenti sul territorio bergamasco non hanno garantito i necessari dispositivi di protezione individuali ai propri collaboratori. Tale incombenza è stata, invece, assolta dall’ente pubblico: il Comune di Bergamo e la CGIL si sono mobilitati per la consegna dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) ai fattorini del territorio, al fine di garantire, seppur in minima parte, la sicurezza sul lavoro dei fattori bergamaschi.

Ha fatto notizia, poi, il caso di Uber Italy, in cui è stato applicato, per la prima volta, l’art. 603 bis C.P. (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) ad un’ipotesi di caporalato digitale. La sentenza 2805 del 2021 ha, infatti, condannato l’amministrazione della società incaricata del reclutamento dei fattorini per il gruppo Uber, in riferimento al delitto di sfruttamento lavorativo a danno dei riders. In questo caso si trattava di una forma di caporalato digitale che, nascosta da una parvenza di legalità, approfittava dello stato di bisogno della persona umana, realizzando un vero e proprio sfruttamento lavorativo. Le vittime, infatti, sono per lo più migranti richiedenti asilo in condizioni di isolamento e vulnerabilità sociale, disposti ad accettare condizioni di lavoro inique per non vedere infranto il loro sogno migratorio (un altro viaggio)

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