“Hashte dekho”: guardami sorridere.  “Bhule jao tumi bastobota?” Hai dimenticato la realtà?

“Hashte dekho”: guardami sorridere. “Bhule jao tumi bastobota?” Hai dimenticato la realtà?

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Giorgia Morbi

Giorgia Morbi

06 dicembre 2025

“Hashte dekho”: guardami sorridere.

“Bhule jao tumi bastobota?” Hai dimenticato la realtà?

Khulna, settembre 2025

Alla fine di quest’estate la vita mi ha portato in Bangladesh. Come? Non ne sono nemmeno più sicura, ricordo una conferenza scout sulla produzione di vestiti tenuta da Alex, un amico dei miei capi.

Chiunque voglia venirci a trovare è il benvenuto!

PRONTA!

Anche se a malapena sapevo collocare geograficamente il Bangladesh (boh, sì, zona India), e avessi già in programma altri piani per l’estate, non so come o perchè, ma qualcosa ha cominciato a muoversi in me. E diciamolo, qualunque cosa sia stato, questo istinto che mi ha spinto nell’ignoto, beh, ha decisamente avuto ragione!

Qualche mese dopo io e Teo, uno dei miei compagni di viaggio, ci siamo ritrovati al consolato bengalese a giustificare la nostra partenza, anche se console e combriccola sembravano un po’ scettici rispetto alla nostra scelta.

Ma siete sicuri di non volervi fermare a Sharjah? è solo a un’ora da Dubai!

Ragazzi scusate, qui non è mica l’ufficio viaggi per Tenerife, lo sapete?

Perplessi dalla mancanza di orgoglio per il loro Paese, ma non troppo preoccupati, abbiamo riso del tutto e archiviato quello scambio come il primo degli aneddoti bengalesi.

Una settimana dopo, siamo partiti.

Come descrivere il primo impatto col Bangladesh… intenso, sicuramente questo non lo si può negare.
Provate a immaginare il posto più affollato, colorato e rumoroso che abbiate mai visto e moltiplicatelo per dieci…
Ecco, questo caos che ora avete in testa è sicuramente imparagonabile a quello che abbiamo trovato prima a Dhaka e poi a Khulna, sbatacchiati dall’aeroporto alla stazione in una delle città più densamente popolate al mondo.
Io, capace di perdermi pure a Milano Centrale, ero sconvolta, ma estremamente affascinata.

Ma dopo tutte le peripezie, a bordo di un super pullman di lusso, siamo finalmente giunti alla nostra amatissima e rumorosa Khulna, la terza città più grande del Bangladesh, che ci ha subito travolti col suoenorme traffico di easybike.
Gli easybike sono delle specie di Apecar chiuse anche sul retro con qualche posto a sedere, nonchè scenario di diverse delle nostre avventure e battaglie di canto. Rumorosi come null’altro, questi mezzi alternativi, insieme ai loro fantastici driver, sono stati nostri fedeli compagni di viaggio dal primo all’ultimo giorno.

Arrivati finalmente a casa, siamo stati accolti da bambini, ragazzi e adulti.

Baci e abbracci, addobbati di collane enormi e seguiti da un grande cartellone, siamo stati accompagnati fino alla sala da pranzo dove abbiamo trangugiato affamatissimi il nostro primo pasto bengalese: riso, dahl e quelle che Alex ci ha definito come “erbe del fosso” raccolte probabilmente per strada… sarà, ma erano buonissime!!!

Quello fu l’ultimo pasto che mangiammo con le posate, col passare del tempo abbiamo affinato la nostra capacità di mangiare il riso esclusivamente con la mano destra, e ve lo dico… non è una passeggiata!

Ora, però, vorrei raccontarvi che cos’è questa casa e questa famiglia, vorrei portarvi un po’ di quella magia che ho potuto vivere con loro. Partiamo dagli aspetti concreti, sicuramente più semplici.

La struttura è disposta su quattro piani - io ne conterei sette per la bislacca disposizione degli spazi - con luoghi dedicati ad ogni attività giornaliera: alle stanze dei ragazzi e degli ospiti si aggiungono l’enorme sala da pranzo con cucina, il parco giochi nel cortile interno, le due tv rooms, la sala conferenze (ribattezzata da noi come cinema del giovedì sera), l’ufficio, la nuovissima sala giochi e le tre meravigliose terrazze che si innalzano sopra tutta la città.

Parlando di persone, invece, abbiamo i due fondatori della casa: Rudy, o meglio il “baba”, ed Alex, per tutti “jio” in un italiano molto bengalizzato, insieme a Bellal e Francesca, educatori a tempo pieno dei ragazzi, lui arrivato da un villaggio vicino come ospite-studente-guardiano e diventato presto maestro dei ragazzi, lei venuta in visita due anni fa, innamorata del posto e dei ragazzi, tornata per restare. A loro si uniscono le mashi Franca, Marta e Panu: le zie della casa che si occupano di cucinare per tutti e di accudire i bambini; Prochain: autista e giardiniere, nonché grande amico della casa e le maestre, che ogni pomeriggio aiutano i bimbi a giocare e fare i compiti.

Tutto questo ovviamente grazie alle adozioni a distanza e ai fondi raccolti grazie a Pang’ono Pang’ono e Filodijuta che, oltre a finanziare la casa famiglia, si occupano anche delle scuole e della fisioterapia fondate negli anni passati.

Spenderei pagine e pagine per raccontarvi di ognuno dei ragazzi della casa, del passato doloroso che portano con sé, del male che hanno passato e del bene che poi hanno saputo accogliere e donare.

Ognuna delle loro storie è narrata in Quando il sole sorge, raccolta di vicende raccontate da Alex, Francesca e Rudy, con l’aiuto dei ragazzi. Sono storie di abbandoni e violenza che ad ogni pagina ti stringono il cuore per poi farti arrabbiare da matti.
Però, poi, leggi le ultime righe di ogni capitolo, che parlano della loro vita in casa famiglia, parole come risate, relazioni e coccole, e sei grato che qualcuno abbia saputo regalargli qualcosa che noi a volte diamo per scontato: l’amore.

Proprio nei primi giorni, durante i giochi pomeridiani con i bambini mi sono sentita estraniata per un minuto (ero stata eliminata giocando a colosseo), sentivo le risate dei bambini, fortissime mentre si tiravano il pallone, si divertivano un mondo. Gioivo della loro gioia e pensavo a come in questo posto abbiano trovato tutti gli strumenti per imparare ad amare, a stare insieme e giocare, a fidarsi ed affidarsi. Ancora più entusiasmante è il pensiero che un giorno saranno proprio questi bambini e ragazzi a regalare al mondo là fuori quello che è stato insegnato loro.

Le giornate scorrevano con i giochi dei bambini

tumi kelbe nah? Giocherai?

I pasti con l’immancabile bhata (riso) accompagnato dal dahl di lenticchie e qualche verdura o pesce, ovviamente accompagnati da una quantità incredibile di spezie

bhalo kintu…. khub jahal!!! Spicy Spicy!

Le ninnananne prima del pisolino, quando intonavamo “Se ti tagliassero a pezzetti...” e venivamo interrotti per la richiesta della loro preferita:

Ekon Bellaciao gana…. pleeease!

Oh partigianooo…

La pittura dei murales, subito diventata pretesto di gioco anzi, di lotta!

oooh ki shundor (bella!) - manata di vernice sulla faccia -.

I compiti con i ragazzi, che provavano a coinvolgerci anche nei libri in alfabeto sanscrito.

I explain you my science lesson in english… OK?

Le serate a giocare e a ballare in terrazza, mamma mia che risate, e che sudare!

lungi dance, lungi dance, lungi dance, lungi dance

Per poi finire, dopo un bicchierone di dhud (latte) caldo, tutti a letto.

Ghuma karate jao! Dormire è difficile!

Shuba ratri. Buonanotte.

A questa semplice e straordinaria routine si aggiungevano le uscite speciali, Alex ci ha portato a visitare molti dei suoi progetti fuori da Khulna, abbiamo fatto un tour delle scuole per scattare le fotografie.

Che pasti ci gustavamo poi quando eravamo ospiti nei villaggi… non ho mai visto un’accoglienza pari quella bengalese, credo di essere stata ospitata in casa di sconosciuti più in questo mese che in tutta la mia vita.

I villaggi, rispetto a Khulna, erano completamente immersi nella natura, non c’era cemento, le case erano fatte di creta o lamiera, coperte spesso da foglie di palma o da fieno, campi per animali e piante di riso.

Anche lì, coperti dal verde, non mancavano i chioschi dove bere il dhud cha facendo due chiacchiere con qualche nuovo amico e dove gustare una deliziosa shingara (se trovate un ristorante bengalese, ve la consiglio!).

Le scuole erano molto belle, edifici ad un piano dalle pareti variopinte, banchi e lavagne di tutto rispetto… e pensare che 25 anni fa la prima di queste scuole era formata solamente da Alex, una manciata di bambini talvolta accompagnati dai propri animali, e da un albero che proteggeva tutti dal sole cocente!

Provo una profonda gratitudine e ammirazione verso tutto ciò per cui hanno lavorato in questi anni, e per tutto ciò che ancora dovrà venire.

Questa è solo una piccola fetta dell’immensità che ho vissuto nella mia nuova grande famiglia dall’altra parte del mondo, assurdo pensare che tutta questa meraviglia si possa rinchiudere in un solo mese!

Questo dimostra la grandezza dell’amore provato, il calore delle relazioni intrecciate e l’interesse per una cultura a noi distante.

E che dire se non un enorme ধন্যবাদ (dhonnobhad, grazie) ragazzi!

Alla prossima, e intanto:

hasi, sorridi.

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