Dentro il MUSA: diritto all'identità

Dentro il MUSA: diritto all'identità

Mille mondi al lavoro
Lara Bortolai

Lara Bortolai

22 aprile 2024

Dentro il MUSA: diritto all’identità

di/ Lara Bortolai

Cosa possono fare le scienze forensi e la medicina legale per i diritti umani? Una visita al MUSA di Milano – Museo Universitario delle Scienze Antropologiche – può aprire uno spaccato inedito sull’importanza dell’identificazione dei corpi e del dare un nome alle migliaia di persone insepolte nel Mediterraneo.

Si potrebbe parlare del Musa partendo dall’inizio, dalla forza dell’idea – coltivata dal Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università Statale, fondato nel 1995 da Marco Grandi e Cristina Cattaneo – di diffondere il ruolo e l’importanza delle scienze mediche, antropologiche e forensi nella lotta alla violenza e nella tutela dei diritti umani. Oppure raccontare il museo dalla fine, dalla sua ultima piccola sala, cui si accede in pochi a fine visita, scostando una tenda nera. Cristina Cattaneo in occasione dell’inaugurazione dello spazio l’ha definita un omaggio alle persone morte nel disastro del naufragio del barcone del 18 aprile 2015.

È una stanzetta buia, dove vengono proiettate le immagini agghiaccianti che abbiamo visto passare anche nei telegiornali del recupero dei corpi, cui segue la lettura di una lettera ritrovata nella tasca del pantalone di un ragazzo, scritta dalla sorella, che gli augura buon viaggio e gli raccomanda di non prendere la via del mare, ha sentito dire che sia la più pericolosa. Alcuni oggetti ritrovati sono esposti su un ripiano, chi entra nella saletta li vede accostando il viso a un’apertura nella parete nera, sono spazzolini da denti, cellulari, certificati di idoneità al lavoro, portafogli, un paio di cuffiette, un preservativo. Oggetti comuni, che ci parlano di vita, di familiarità e che contribuiscono all’effetto straniante di sentire il 2015 molto vicino, anche perché le vittime nel Mediterraneo negli ultimi decenni sono almeno 30.000 di cui il 60% non ha un nome.
Il Labanof continua a cercare di risalire all’identità delle quasi mille vittime di quel naufragio e dai numerosi altri naufragi italiani, anche attraverso la ricerca dei famigliari, raccogliendo i dati post mortem dei naufraghi per compararli con quelli che arrivano sugli scomparsi.

Quello che è avvenuto e continua ad avvenire nel Mediterraneo è definito un disastro umanitario aperto, aperto perché a differenza di altri disastri definiti in gergo chiusi (nel museo un pannello riporta l’esempio del terribile incidente dell’aereo di Linate dell’8 ottobre del 2001), nessuna macchina identificativa si è messa in moto. Questa è una chiara violazione di diritti.

A spiegare l’importanza del tema dell’identificazione dei morti ci pensa la sala del museo che raccoglie quattro testimonianze di familiari, tutte diverse, ma accomunate dalla ricerca di una spiegazione ultima, di una certezza, dell'uscita dal limbo della perdita ambigua. È provato, infatti, che la salute psichica dei vivi spesso risente della mancata identificazione di un proprio caro morto o scomparso, lo stato di incertezza legato a questa condizione sospesa non permette nella maggior parte dei casi di elaborare il lutto e di cadere più facilmente, dunque, in patologie come la depressione o l’alcolismo. Conoscere, sapere la verità, anche quando estremamente dolorosa, è un diritto sancito anche dalla Costituzione (si vedano in particolare gli articoli 32 e 24), dal Diritto Internazionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La ricostruzione delle circostanze del decesso operata delle scienze forensi e dalla medicina legale, inoltre, è essenziale per provare casi di violenza e permettere ai familiari di costituirsi parte civile nei processi per ricevere tutela e risarcimento.

Il lavoro di ricerca e ricostruzione, però, non si esaurisce nel post mortem, la violenza cambia anche i corpi vivi. Pensiamo ai casi di violenza domestica e all’importanza di un’attenzione a tutti i livelli dei segnali che un corpo ferito può mostrare, a partire dalla denuncia da parte dei medici in ospedale: radiologi, anatomisti e neuropsichiatri possono intercettare situazioni di abuso.

In via Zendrini, da fine 2019 è stato aperto dal Comune di Milano un centro per minori stranieri non accompagnati, dove il Labanof ha un ambulatorio medico-legale e antropologico, dotato anche di apparecchiatura radiografica, per valutare età e lesioni sui minori stranieri non accompagnati, insieme a psicologi, educatori, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili.

La medicina legale umanitaria cerca di interpretare i segni di tortura e maltrattamento. Questi accertamenti sono fondamentali, si pensi all’importanza che possono avere per i richiedenti asilo, e alle conseguenti tutele legali e legislative a cui queste persone possono dunque accedere nel Paese di accoglienza.

Il Musa porta fuori dalle porte del dipartimento e dai reparti specialistici i risvolti sociali di un lavoro quotidiano che spesso nella vulgata passa alla ribalta dell’opinione pubblica solo nella forma “crime”, si pensi all’immaginario di alcune famose serie televisive, o alle ricostruzioni giornalistiche di alcuni casi di cronaca nera. Sicuramente questa è una delle sfaccettature di tale lavoro, che il museo non manca di presentare sollecitando l’immaginario visivo del visitatore a riguardo (e con la ricostruzione di due casi specifici di cronaca), ma non si esaurisce o circoscrive solo a questo. Significativo come, ad esempio, l’esposizione si apre con una ricostruzione storico-antropologica della città di Milano attraverso lo studio sistematico degli scheletri antichi componenti la CAL (Collezione Antropologica Labanof). Il passato è composto dalle vite delle persone che si intrecciano tra loro e insieme creano la storia, attraverso la ricostruzione del profilo biologico degli scheletri (e quindi il loro identikit – sesso, età, etnia, malattie…) si possono ricostruire i movimenti di persone o di popoli, episodi di violenza e di malattia ma anche di cura e solidarietà verso il prossimo; di sanità e beneficenza, oltre che di guerra, crimini e violazione dei diritti umani. Una storia diversa da quella desunta da documenti inorganici e monumenti e tracciabile solo coniugando le analisi antropologiche con quelle archeologiche, letterarie e storiche, che può offrire analisi puntuali rispetto a situazioni particolari, si pensi ad esempio alle fosse comuni e ai morti guerra, o ai riconoscimenti e ricognizione di personaggi storici e santi.

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