Contraddizioni e identità fra noi. Sul Migrantour
Mille mondi a tavolaNiccolò Valtulini
16 ottobre 2024
Organizzato da Cooperativa Ruah, Migrantour Bergamo è un progetto di turismo responsabile che promuove la valorizzazione del territorio attraverso passeggiate interculturali condotte da persone migranti. È uno strumento di educazione civica che si rivolge a studenti e docenti, cittadini e visitatori che vogliano scoprire Bergamo e la sua provincia in una maniera inedita.
Appena arrivati all’imbocco di Via Quarenghi, Roxana, la nostra guida, ci accoglie accompagnata da un buffo zainetto variopinto, talmente gonfio da sembrare sul punto di esplodere, e che da quel momento in avanti diventerà il suo fedele e inseparabile compagno, da cui estrarre di volta in volta come la borsa di Mary Poppins un caleidoscopico ricettacolo di oggetti, fascicoli plastificati con fotografie, immagini e soprattutto leccornie d’ogni sorta da offrire ai visitatori. La prima cosa che ci mostra è un quadro che ritrae proprio il luogo dove ci troviamo, l’incrocio tra Via Quarenghi e Via Paleocapa, così com’era agli inizi del secolo scorso: tra gli edifici campeggia un grosso cancello in ferro battuto; la sua funzione era quella di una sorta di barriera doganale e apprendiamo dell’esistenza all’epoca di una tassa sulle merci e sugli scambi. In qualche modo un simbolo di chiusura in fondo, di filtro e protezione dall’esterno, di ostacolo alla circolazione dei prodotti e delle persone, e con essi anche delle culture. L’esatto opposto di quello che invece rappresenta la via oggi: un luogo di fusione, scambio e convivenza tra culture diversissime e molto distanti tra loro. Penso a quanto sia cambiato il mondo da allora, anche solo la morfologia delle strade e i loro incroci. Penso che lo stesso discorso vale probabilmente per moltissimi altri luoghi, ma certo un po’ di memoria storica aiuta a prendere coscienza della complessità dei processi e dei mutamenti sempre in atto. Poi, come premessa, prima di intraprendere il nostro viaggio nei meandri del quartiere, ci ricorda la sottile ma fondamentale differenza tra accettazione e rispetto, e come la comprensione dei fenomeni sia un prerequisito ineludibile per entrambe. Non è necessario insomma condividere in toto degli usi e costumi, delle tradizioni, financo dei valori, per provare comunque a comprenderli senza giudizi affrettati, con mente libera e con spirito di tolleranza e fratellanza universale.
Detto questo, ha inizio il tour vero e proprio e Roxana ci conduce subito con piglio trotterellante verso il cuore multiculturale di Bergamo, quell’incrocio di poche strade costellate da tappe inaspettate, spazio fecondo in cui una pluralità di vissuti ed esperienze sono incastonati tra le pieghe del tessuto urbano, spesso quasi invisibili allo sguardo fugace e distratto dei passanti usuali, me compreso. Un intreccio multiforme di storie e culture, nient’altro che figure della diversità, da conoscere e custodire contro quell’omologazione e appiattimento culturale, inevitabile portato della globalizzazione, che già Pasolini con sguardo profetico aveva lucidamente messo a fuoco. Al dramma della “mutazione antropologica” egli contrapponeva con decisione il suo amore per le culture locali, marginali rispetto alla logica dominante, un mondo antico dove vedeva pulsare e risplendere con più forza ed evidenza la sacralità di una vita autentica, non ancora contraffatta da pulsioni e desideri indotti dal mercato, dal consumo e dalla tecnica. Penso a certe pagine memorabili dei suoi Scritti corsari... Penso anche ad alcuni passaggi di Fortini, ne I Cani del Sinai o in Asia Maggiore,splendido libro-testimonianza ibrido fra reportage di viaggio, saggistica e narrativa, su popolazioni e civiltà all’epoca ancora remote e irraggiungibili come “l’altra faccia della luna”, monumenti di un’alterità possibile e di un diverso paradigma sociale, economico e politico. Proprio Fortini scriveva, attorno alla metà degli anni ’60: “Gli uomini i gruppi i popoli non sono uguali; ma non sono diversi solo perché il loro passato è diverso e diversamente li determina. [...] ma perché qui e ora agiscono diversamente e diversamente si collocano nel complesso delle forze storiche, nella simultaneità del mondo. Il loro passato li ha collocati dove sono; ma è il futuro a farli muovere. [...] coinvolgono, con il loro agire nel presente, la tua diversità, il tuo agire. [...] La mia vicinanza a te, la tua lontananza da me si misurano nel contesto di una storia immediata e universale”. Ancora una volta, nel bene e nel male, impossibile non rilevare quanto drasticamente sia cambiato da allora il contesto internazionale e l’orizzonte geopolitico, benché fossero forse intravedibili in nuce e già gettate molte delle premesse di attriti e conflitti che avrebbero poi caratterizzato l’intera seconda metà del Novecento, fino ai giorni nostri e alle recenti vicende tristemente note a tutti.
Ecco, a maggior ragione in questo scenario corrente io credo sia ancor più importante recuperare un diverso approccio etico e conoscitivo, di apertura all’incontro e al dialogo fra i mondi e le culture, atteggiamento di cui Cooperativa Ruah e il Migrantour stesso sono un fulgido esempio. Tra gli intenti dichiarati dell’esperienza vi è senz’altro quello di abbattere pregiudizi e rigidi schematismi, anche grazie al ricorso a un divertente e interessante metodo interattivo, fatto di quiz, assaggi e curiosi aneddoti. Per intrattenere, certo, ma anche e soprattutto per permettere di conoscere più in profondità popoli e culture attraverso un procedimento che va continuamente dal particolare all’universale; per capire come dietro qualsiasi dettaglio, anche il più apparentemente insignificante, si nasconda sempre un intreccio ben più ampio e ininterrotto di relazioni e rapporti di forza, scambi materiali e simbolici. Dalle origini della bandiera boliviana e dei suoi colori in un fiore a snack e piatti tipici, frutta e verdura esotica e semisconosciuta, un misterioso ideogramma cinese dal significato oscuro, passando per la lunga lotta commerciale e di marketing tra l’arcinota multinazionale della Coca Cola e il brand autoctono dell’Inca Kola (chi avrà avuto la meglio alla fine?). Fino a culminare con l’assaggio nel Bugan Coffee Lab, dove Maurizio, il proprietario, ci trasporta con passione e competenza in un vero e proprio viaggio sensoriale tra la miscela colombiana, più rotonda e legnosa, e quella etiope, più acida e fruttata: l’aroma del vero chicco di caffè, da gustare come dovrebbe essere, rigorosamente senza zucchero, pena l’immediata espulsione dal locale. Un sapore a cui, anche per via dell’eccessiva tostatura, nessuno di noi è abituato; mentre lo lascio decantare sulle papille gustative, penso che in quei pochi sorsi si condensino e annidino secoli di alterne vicende, storia e paesaggio, natura e cultura, in un amalgama inconfondibile. E molto altro ancora ovviamente, sempre saltabeccando da vicissitudini collettive a minuscole storie individuali di resistenza e imprenditoria, con il gusto associativo del gioco e a tratti della divagazione storico-letteraria. Tutto questo sempre attraversando a piedi quel fertile sottobosco di negozietti, piccoli artigiani e commercianti che portano avanti ogni giorno la loro personale battaglia. In questo modo, la via si trasforma da semplice transito - punto di passaggio da percorrere in fretta per recarsi da un luogo all’altro - a luogo in sé stessa, e in quanto tale vivido e ricco di significati. Mi viene in mente una bellissima citazione di Pavel Florenskij: “il peccato radicale, ossia la radice di tutti i mali, è l’insistenza nel non uscire da sé stessi”. In questa operazione di spontanea ‘fuoriuscita dal sé’ il Migrantour riesce invece a meraviglia, e rappresenta una bellissima iniziativa per far conoscere un versante inusitato e incredibilmente sfaccettato della nostra città.
Una delle tante lezioni e spunti di riflessione che mi porto a casa è che, con il giusto atteggiamento, a ben vedere, l’esistenza del villaggio globale, se virtuosamente amministrato e mitigato, non impedisce al suo interno il germogliare di tanti piccoli preziosi villaggi locali; al di là di ogni facile tentazione d’isolamento o ghettizzazione, perché sono proprio le commistioni a favorire il crearsi di una rete proficua per l’arricchimento dell’intera comunità, senza che per questo perdano di rilievo le specificità particolari. È un lavoro delicato, certo, ma non impossibile, e Cooperativa Ruah e il suo Migrantour ce lo dimostrano.
“[...] Ho una foto alla parete. Vent’anni fa
nel mio obiettivo guardarono sette operai cinesi.
Guardano diffidenti o ironici o sospesi.
Sanno che non scrivo per loro. Io
so che non sono vissuti per me.
Eppure il loro dubbio qualche volta mi ha chiesto
più candide parole o atti più credibili.
A loro chiedo aiuto perché siano visibili
contraddizioni e identità fra noi.
Se un senso esiste, è questo.”
(F. Fortini, Sonetto dei sette cinesi)