Inaugurazione della mostra "Inspired by the people" di Stefano Lotumolo

Inaugurazione della mostra "Inspired by the people" di Stefano Lotumolo

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Mitu Riva

Mitu Riva

13 luglio 2023

Inaugurazione della mostra “Inspired by the people” di Stefano Lotumolo

Il 22 maggio presso l’Abbazia di San Paolo d’Argon, in occasione dell’ inaugurazione della sua mostra di fotografie dal mondo all’interno della settimana tematica “Viaggi, via all’intercultura” organizzata da Fileo, il fotografo Stefano Lotumolo ha risposto a diverse domande. Mitu ha trascritto le sue parole, che condividiamo con voi.

Ci racconti un po’ di te? Chi sei? Da dove arrivi?

Sono un ragazzo come tanti che alla soglia dei trenta ancora non sapeva chi fosse e, quindi, ho pensato che i viaggi potessero aiutarmi nella riscoperta di me stesso. Così pare sia stato. Nel 2015 ho iniziato a viaggiare, ho lasciato il mio porto sicuro. Prima dei miei viaggi non avevo mai preso una reflex in mano. Il primo Paese che ho visitato è stato la Tanzania e lì ho incontrato i Masai e la fotografia. Poi per tre mesi ho viaggiato in Asia e mi sono fatto inviare una piccola reflex da mia madre che mi ha comprato il 70/200. Ho iniziato a fotografare durante il safari perché la ragazza che era partita con me diceva che non potevo fare un safari senza una reflex. Così lei decise di prestarmi la sua, mentre un fotografo francese mi permise poi di usare il suo 70/200 per una settimana. Facevo le foto, vedevo animali lontanissimi che non sarei riuscito nemmeno a distinguere a occhio nudo e quindi l’impatto con la fotografia è stato molto forte, da lì sono successe molte altre cose, di cui la maggior parte è ora visitabile.

La tua mostra è un racconto di una serie di viaggi, quali sono le mete che si possono visitare attraverso le tue fotografie?

Sicuramente il focus principale è su alcune mete in Africa e Asia. L’Asia in questi anni mi ha permesso di comprendere l’inizio di una mia ricerca di spiritualità. Mi sono messo in gioco moltissimo su un piano personale: ho vissuto in monastero, ho cercato quello di cui avevo bisogno. Ci sono stati tanti cambiamenti nella mia vita grazie ad alcune esperienze in Asia e, soprattutto, in India.

L’Africa, invece, mi ha permesso di aprire gli occhi, forse più dell’Asia sotto certi aspetti. Mi ha dato la possibilità di provare a mettermi in gioco in maniera diversa, in un’ottica di servizio; infatti nel 2020 ho fondato con altri ragazzi un’associazione che ha lo scopo di provare a creare un progetto di agricoltura rigenerativa con i Masai, dato che in questo momento il loro popolo non ha accessi sicuri d'acqua e cibo. In Africa, purtroppo, molte popolazioni stanno subendo le dure conseguenze di ciò che noi abbiamo causato a livello di cambiamento climatico.

Perché il titolo della mostra è “Inspired by the people”?

La mia fotografia si basa sulle persone: se sono qui adesso, se sto continuando a portare la mia fotografia nel mondo è perché loro me lo hanno permesso e me lo permettono. Tale disponibilità dipende tanto da come ci poniamo in viaggio, ciò che cerco di fare nella mia fotografia è di riportare il contatto che vivo. Cerco di far vedere quanto sono belle le altre popolazioni, quanto è importante la diversità nel momento in cui vogliamo crescere come esseri umani. Se continuiamo a guardare l’altro con disprezzo e con arroganza è difficile evolvere come esseri umani. Ho cercato, inoltre, di cambiare sempre approccio e sguardo con le persone che avevo davanti, sempre cercando di far loro capire che il messaggio che voglio mandare è positivo, per me è davvero importante.

Quale tecnica usi per le tue fotografie?

La tecnica del cuore. Non avendo studiato fotografia, non conoscevo tecniche prima. Cerco di riportare quello che vivo e nel nuovo progetto cerco di togliere il mio giudizio, lasciando l’obiettivo libero di ricevere in dono ciò che il contatto con tante culture diverse dispiega.

Ti va di raccontarci la storia dietro a qualche fotografia?

Le possibili storie dietro le fotografie sono infinite. In questa, ad esempio, ero in Myanmar. Qui sono riuscito ad entrare in connessione con alcune donne e grazie anche alla mediazione di un altro fotografo sono stato in casa loro. Quest’altra, invece, è una dell’ultime foto, è di marzo 2023, ero in India e quando ho incontrato questa donna ho sentito immediatamente il bisogno di farle una foto. Credo che il primo scatto sia quello in grado di comunicare davvero, perché altrimenti si perde il momento, la magia, si perde la naturalezza.Oppure ,ancora, penso al viaggio che mi ha permesso di stare in totale connessione con i Masai. Ho vissuto tre settimane in tenda e per loro un “bianco” che viveva in tenda era qualcosa di folle. Poi hanno capito che lo stavo facendo proprio per entrare in connessione totale con loro ed è stata la consacrazione della nostra unione. Ho immortalato ad esempio la mia “nonna Masai”,che è rimasta vedova molto giovane ed ha fatto da mamma a tanti bambini del villaggio.

C’è qualche foto che hai scelto di non fare perché ti sembrava impudica o per rispetto della persona che avevi davanti?

Ho avuto difficoltà a fotografare i bambini che bevevano dalle pozzanghere. Eravamo lì per quello, dovevamo documentare con le foto quelle condizioni terribili per promuovere poi alcune raccolte fondi. Abbiamo, infatti, ultimato dei pozzi e stiamo realizzando una rete idrica che porterà 10 km di tubi, così che ogni famiglia avrà il suo rubinetto, e che permetterà anche di avviare il progetto di agricoltura rigenerativa.

Dici che la differenza la fa il come ci poniamo, il contatto, come entriamo in relazione con una persona. Nel tuo caso ciò significa la modalità scelta per scattare una foto, per qualcun altro, nell’ambito delle esperienze di servizio, può voler dire semplicemente chiedersi a quale bisogno tale servizio risponda per sé e gli altri. Secondo te come può il viaggio diventare un mezzo per lavorare sull’ intercultura?

Il viaggio ti costringe al confronto. Devi esporti con totale rispetto di chi hai davanti e grande sincerità: così come ti poni con l’altro, l’altro si pone con te. La connessione mi viene naturale e questo mi ha permesso di creare diversi progetti. Per esempio ricordo che ero in un mercato Masai, dove ho tanti amici lì, e ho visto due ragazze; mi piaceva come erano sedute lì in un bar, ma sembrava che non avessero intenzione di farsi fotografare Dopo cinque minuti ero, invece, dentro al bar dove una mi aiutava a tenere gli strumenti e l’altra era in posa. La fotografia penso sia una cosa naturale, difficile spiegare. Quando sono in viaggio percepisco amore puro, per me rappresenta un momento per conoscere, conoscermi e il diverso è un contenitore di bellezza infinita.

Nei tuoi viaggi sei sempre da solo o hai qualcuno che condivide la tua passione?

Dipende. Ho una compagna. Ma tutto dipende dalla tipologia di viaggio. A Gennaio 2022 ho condiviso parte del tragitto con degli esuli birmani: era un viaggio complesso a causa delle ultime restrizioni per il Covid ed era un viaggio che, quindi, avevo intrapreso da solo. In India ad aprile, invece, ero con la mia compagna, l’idea è quella di continuare a viaggiare insieme.

Hai mai avuto momenti di sconforto durante i viaggi?

Sui social spesso sembra che sia tutto bello, ma i viaggi sono tosti. C’è un dispendio energetico enorme. Lo sconforto spesso è per la situazione che si va toccare. Essere dentro quello che poi si racconta significa vivere le condizioni di chi non può contare su un sistema sanitario umano, ma allo stesso tempo rivalutare i bisogni veri, capire cosa realmente ci fa sentire bene.

C’è molto ancora da fotografare senza per forza andare sempre lontano, magari rimanendo pure qui a Bergamo, oppure…

Concordo, anche solo nei piccoli paesini c’è un’immensa cultura da scoprire. Io vivo in Sardegna e lì questo emerge profondamente. Tutti i ragazzi del paese sono radicati in quello che vivono, ci sono nati dentro. È bellissimo, una cosa molto interessante.La mia fotografia funziona perché sento una molla, non riesco a fotografare senza questa “molla”.Sicuramente anche a Bergamo c’è molto da fotografare, ci sono dei bei movimenti. Bisognerebbe riuscire ad avere sempre un occhio bambino per trovare ovunque questa molla, per quanto mi riguardai bambini sono i più grandi insegnanti, molto spesso hanno sguardi molto più liberi.

Grazie Stefano. Il mondo è pieno di foto, pensiamo a quante sui social, ma cosa fa la differenza? Forse la pazienza di camminare, di andare piano. La possibilità del tempo del viaggio, quello che ti apre all’incontro con gli altri. Il cammino è il primo passo per l’intercultura. Il mondo viene raccontato tutto a una velocità incredibile, ma, invece, alcune foto significative possono fermare il tempo concitato quotidiano, immortalare qualcosa che ci parla, diventare opere che raccontano una storia.

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